Utilizzo delle botaniche nei vari Gin italiani
Per botaniche o botanicals si intendono quelle piante, spezie, erbe, radici e sostanze aromatizzanti che, di solito, vengono usate nei liquori e nei distillati, come nel Gin. Queste sostanze, nel mondo dei distillati e liquori, spesso sono utilizzate per aromatizzare l’alcol etilico utilizzato per la produzione, o in altri casi, vengono aggiunte alla soluzione finale per apportare una determinata nota organolettica che in distillazione potrebbe non essere gestibile.
In antichità, le botaniche vegetali erano usate per facilitare la digestione o per prevenire determinate infezioni. Attualmente, la tradizione continua e i bartender usano aggiungere ai loro cocktail radici, fiori ed estratti di piante, che oltre ad essere miscelati nel bicchiere, vengono usati come guarnizione. I cocktail botanicals più utilizzati, ad esempio per il Gin tonic, sono erbe aromatiche come il ginepro, il rosmarino o la salvia, che conferiscono un profumo molto particolare alla bevanda durante l’assaggio.
Ingredienti del Gin: I botanicals più usati nei vari Gin italiani ed internazionali
La botanica più utilizzata è senza ombra di dubbio il ginepro. Questo viene usato sotto forma di bacche, sia in infusione, in distillazione che durante il processo di aromatizzazione. Il nome scientifico di questa botanica è Juniperus Communis, conifera dalla quale viene ricavato l’ingrediente principale del Gin: i semi di ginepro. Si tratta di semi molto succosi, la cui resina conferisce al Gin il tipico sapore balsamico e pungente del ginepro. In assenza di questo ingrediente, il distillato non può definirsi Gin.
In ordine di importanza, nella maggior parte dei casi, la seconda botanica usata nella produzione del Gin è il seme di coriandolo (Coriandrum sativum L.). Questo, immerso nel liquido, è responsabile del sapore citrino (o citrico) e delle note floreali che rendono il distillato intenso e corposo. Botanica originaria del Mar Mediterraneo, a seconda della provenienza e della zona di coltivazione, conferirà alla bevanda un aroma speziato, con sentori floreali dolciastri, un sapore più citrino (o citrico), o note più delicate.
Tra le botaniche più apprezzate c’è la radice di angelica (Angelica archangelica L.). Parliamo di un vegetale di origini appartenente alla famiglia delle Apiaceae, ovvero delle carote. La radice di angelica, messa in infusione nel Gin, dona alla bevanda sentori di terra e di legno secco. È praticamente l’ingrediente che lega tra loro i sapori del Gin, aggiungendo secchezza al distillato.
Altre botaniche usate nei Gin
Le botaniche impiegate nella produzione del Gin sono veramente numerosissime. Una di queste è l’iris germanica (Iris × germanica L.), che viene usata come la radice di angelica, per tenere insieme i sapori e le note organolettiche degli altri ingredienti utilizzati nella produzione del Gin e i suoi profumi, diminuendo la volatilità alcolica e favorendo l’integrità del prodotto.
In certi casi, vengono utilizzate anche più di trenta botaniche in un solo batch. Ed ecco emergere altri botanicals, quali:
- Aneto (Anethum graveolens L.): si tratta di una pianta aromatica proveniente dal Medio Oriente; il suo profumo è un misto tra finocchio e anice, possiede ottime qualità digestive, antisettiche, antispasmodiche e rinfrescanti. Se ne possono usare sia le foglie che i semi e ha effetti benefici anche per quanto riguarda l’alitosi, la cellulite e l’insonnia. È conosciuta scientificamente come Anethum graveolens L. ed appartiene alla famiglia delle Apiaceae. Le foglie sono di colore verde azzurro, mentre i fiori sono piccoli e gialli e più aromatici delle foglie ma meno dei semi. Conosciuto, nella tradizione marchigiana, anche come “finocchio bastardo”, l’aneto non è ancora molto usato nelle cucine italiane, ma si accompagna molto alle carni alla griglia, ai pesci grassi e alle verdure bollite. Le foglie secche o fresche vengono usate per aromatizzare pesce, carne e salse mentre i semi sono utilizzati per dare profumo a liquori, olio d’oliva, confetture o aceto. Per quanto riguarda la coltivazione dell’aneto, è una pianta facile da trovare allo stato selvatico, fino a 600 metri di altezza.
- Assenzio (Artemisia absinthium L.): Questa è una pianta perenne, usata da sempre come pianta aromatica nei distillati; il suo nome scientifico è Artemisia absinthium e si distingue per le sue foglie molto particolari, di colore verdastro con qualche tonalità grigia e per i piccoli fiori gialli. La pianta di Assenzio può nascere spontanea, perenne o annuale ed ha origini mediterranee, per cui predilige le zone soleggiate.
- Melissa (Melissa officinalis L.): è una pianta erbacea perenne, nota scientificamente come Melissa Officinalis e facente parte delle Labiate. Le sue foglie, strofinate, divulgano il tipico odore di limone, mentre i suoi fiori bianchi sono sfumati di rosa: le foglie e i fiori vengono essiccati e distillati in modo da ricavarne l’olio essenziale. La melissa viene seminata ad aprile e raccolta a giugno, il 24 del mese, secondo l’uso popolare. È molto usata in cucina o a scopo terapeutico, ma anche nella preparazione di liquori eccellenti.
- Lavanda (Lavandula angustifolia): è una pianta perenne profumatissima e commestibile, appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, che cresce spontaneamente anche a 1100-1300 metri di altitudine. La famosa lavanda dei monti Sibillini è un emblema per questo paesaggio suggestivo; i suoi bellissimi fiori di colore azzurro-violaceo conservano il loro profumo anche essiccati.
- Mela rosa dei monti sibillini: è un prodotto italiano tipico dei monti Sibillini e appartiene alla famiglia delle rosacee. Il suo nome è dovuto alle striature rosso vinose che si contrappongono al verde intenso del frutto acerbo e al profumo di rosa emanato dalle infiorescenze. Anche se in passato la coltivazione della mela rosa fu quasi abbandonata, è stata riproposta dalla Comunità dei Monti Sibillini, che ha deciso di impiantare nuovamente le piante locali rivalutandole. Sono note le qualità antinfiammatorie e antiossidanti di questi frutti il cui estratto sembra prevenire patologie cardiovascolari, depressione e diabete.
Botaniche particolari
I vari marchi si affannano alla ricerca dei botanicals più insoliti per realizzare i prodotti più sorprendenti. E così spiccano liquirizia, pepe nero, salvia, fiori di sambuco, cetriolo, cumino, camomilla, mirtilli, ma non solo. Alcune aziende produttrici di Gin utilizzano botaniche come il lentisco, il timo, il finocchietto o il mirto, mentre altre fanno uso di alghe e acqua dell’oceano. Alcune distillerie creano infusi con ginepro, cardamomo, coriandolo, pino mugo, uva moscato e pino cembro.
Tra le botaniche più insolite utilizzate nella produzione del Gin, troviamo anche:
- Fave di cacao: si tratta di semi di un colore bruno violaceo, piatti e ovali; sono contenuti all’interno del frutto della pianta e, più precisamente, nella polpa.
- Biancospino: è un arbusto spinoso e ramificato appartenente alla famiglia delle rosacee e produce frutti ovali e rossi (quando sono maturi).
- Genepy: questo appellativo riguarda varie specie di piante appartenenti al genere Artemisia e tipiche delle Alpi occidentali. Il genepy è una specie protetta, per cui le piante riservate alla produzione dei liquori vengono coltivate.
- Aronia: è un frutto molto simile al mirtillo con potenti proprietà antiossidanti; inoltre, contiene gli antociani che combattono i radicali liberi e sollecitano la rigenerazione cellulare, oltre che favorire la microcircolazione.
I Gin “gastronomici” italiani
La nuova tendenza della distillazione italiana riguarda i gastro-gin, un nuovo concetto di creazione di abbinamenti tra cucina e cocktail. A pensarci bene, il ginepro, che è la botanica predominante nei Gin, è un ingrediente che fa parte di molte ricette della gastronomia italiana. Pertanto, è sufficiente aggiungere altre sostanze, appartenenti alla nostra tradizione culinaria, per ricavare dei Gin ottimi da assaporare da soli o in abbinamento al cibo, ovvero in food pairing.
I produttori di questa tipologia di Gin hanno puntato sulla realizzazione di Gin monobotanica, oltre all’utilizzo del ginepro che è la base imprescindibile del distillato. Attualmente, tra le botaniche più usate, distinguiamo: limone, rosmarino, basilico, cardamomo, verbena, pesca, caffè, lavanda e pepe dei dogi. Si tratta, dunque, di botanicals utilizzati in cucina e i Gin da loro ricavati sono perfetti da bere in purezza o miscelati. Inoltre, rosmarino, basilico e caffè sono botaniche tipiche della gastronomia italiana classica. Ecco, quindi, nascere nuovi distillati come i Gin al pomodoro, dal profumo inebriante che ben si prestano ad essere miscelati nella preparazione di cocktail che richiamano il Bloody Mary. C’è poi il Gin che unisce al ginepro il limone di Amalfi e, ancora, quello con i sentori iodati del sale di Cervia. Per non parlare del Gin ottenuto dalla distillazione di olive taggiasche o di quello con le fave di cacao (ottimo da degustare insieme a pezzettini di cookies).
I Gin italiani sono resi unici dalla grande disponibilità e varietà di botaniche, che crescono rigogliose grazie al nostro clima. Il ginepro, ad esempio, ha un’aromaticità diversa in base alla zona di origine. Ogni Gin si distingue per vari aspetti, quali:
- Le tipologie di botaniche utilizzate e valutate dal master botanist: erbe, frutta, spezie.
- Le dosi delle stesse decise dal mastro distillatore.
- La tecnica d’infusione, macerazione, digestione e distillazione.
- Metodi come l’affinamento in botti di acciaio o in barrique o apportando una leggera affumicatura.
Nella maggior parte dei Gin, il numero delle botaniche varia da 7 a 19, ma ciò non esclude l’esistenza di distillati aromatizzati con un numero superiore di ingredienti, fino alle 47 previste dai disciplinari di produzione del Gin. Oltre all’utilizzo di botaniche particolari e insolite, per la distillazione si usano sempre più frequentemente alambicchi discontinui con appositi carter head che permettono di esaltare il profumo del prodotto finito, rendendo delicato il suo sapore.
Per quanto riguarda il luogo di origine delle botaniche, non esiste alcuna normativa italiana che definisca che la produzione debba essere svolta utilizzando esclusivamente piante officinali provenienti da una determinata zona, ma per l’ottenimento di un prodotto che ne tuteli la provenienza, i mastri distillatori preferiscono utilizzare le botaniche che per definizione sono tipiche di un determinato luogo, come ad esempio: il ginepro appenninico, il bergamotto calabrese, il rizoma del giaggiolo toscano, il cardamomo indiano, il coriandolo russo, le bucce di mandarino, pompelmo, arancio amaro e limone delle zone mediterranee.
Curiosità tecniche
Quando il processo di distillazione prevede l’utilizzo di botaniche delicate oppure l’obiettivo è quello di ottenere un’alta concentrazione di profumi, vengono usati i cosiddetti alambicchi fiorentini, di capienza contenuta. Questi ultimi venivano usati, in antichità, dai produttori di profumi per acquisirne le essenze. Questi alambicchi sono in grado di favorire un’alta concentrazione di profumo; infatti, sono utilizzati dai mastri distillatori per filtrare i fiori che, diversamente, verrebbero spogliati e cotti.
Attualmente, sono stati creati degli alambicchi a bagnomaria sottovuoto, noti nel nostro Paese già nell’antichità, che prendono il nome di Crysopea. Formando un vuoto nella caldaia, facilitano il passaggio dell’alcol. In questo modo si riduce la temperatura di evaporazione dell’alcol, migliorando il processo d’infusione delle botaniche e i tempi di lavorazione per un eccellente risultato finale. L’uso degli alambicchi sottovuoto ha favorito la creazione di prodotti di nicchia e di vero pregio.
Conclusioni
Attualmente, le botaniche rappresentano gli ingredienti principali utilizzati nella produzione del Gin, ma ciò che contraddistingue il Gin dei Sibillini è l’impiego esclusivo delle botaniche presenti nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, trasmettendo agli amanti dei gusti tipici locali un valore territoriale.